Chi è il mio prossimo?


Sulla questione del prossimo e della solidarietà.

Marco 12:29
Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore;

Marco 12:30
amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.

Marco 12:31
E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso . Non c’è altro comandamento più importante di
questi».

Marco 12:32
Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altri all’infuori di lui;

Marco 12:33
amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici».

Un insegnamento, quello di Gesù, che parrebbe capito solo a metà, malgrado S. Agostino abbia trattato il tema della Carità in modo splendido, chiarissimo, ad esempio nell’OMELIA OTTAVA alla Prima Lettera di S. Giovanni (in fondo a questo articolo; in blu le parti più attinenti al nostro discorso). Da questa omelia è possibile, dopo aver compreso lo spirito de: IL CANTO DELLA SORGENTE, trarre importanti conferme e delucidazioni senza incorrere tuttavia nelle “sfocature” di concetti che talune espressioni, causa il limite comunicativo delle lingue, possono nel tempo presentare, col rischio di indurre in errore il lettore.

Mi è stato richiesto di trattare l’argomento “Prossimo” da parte di un lettore che non vede chiaro il rapporto fra il secondo comandamento e la frase apparentemente razzista di Cristo, Matteo 15, 22 e ss., in cui paragona i popoli diversi da Israele (idolatri e sprezzanti il Dio unico) a dei cagnolini.

Premetto che il concetto di prossimo subisce, durante tutto l’iter biblico (a iniziare da Esodo 12, 4), una continua serie di precisazioni e focalizzazioni successive che, partendo dal semplice concetto di vicinanza, di contiguità sociale, riportano sempre più verso una identificazione piena, profonda, una sovrapposizione in crescendo del concetto dell’altro con quello di sé, nello sforzo immane di fare comprendere agli uomini la pari dignità innata dell’altro, di colui che viene in contatto con noi con le valide ragioni per potersi chiamare fratello. Una pari dignità dovuta, in primo luogo, al fatto che è uomo come noi cioè ha la nostra stessa Paternità e, in quanto tale, non può legittimamente essere soggetto di discriminazione, perché nessuna motivazione umana, per quanto forte e giusta possa sembrare, ha tale potere e diritto.

Il prossimo dell’Antico Testamento rappresenta tutti coloro che, a vario titolo, rientrano nella nostra sfera di rapporti personali, tutti quelli con cui ci è dato di interagire direttamente e liberamente. Si comprenda come questo sia il primo nucleo, metodo elementare di applicazione, testimonianza e diffusione della Legge di Dio, proprio come la famiglia e il rapporto famigliare è il nucleo primario di costituzione della società. Non solo una “predica dall’alto”, quindi, ma anche una partecipazione viva e richiesta dell’uomo all’Opera di Dio, fin dal primo momento.

Secondo il Vangelo, invece, si precisa ancor meglio che il prossimo di un soggetto è colui che ne ha compassione, ed è quindi misericordioso verso di lui. L’aneddoto del buon samaritano, che consiglierei di rileggere attentamente, ci illumina designando senza dubbio la figura cardinale, primaria del prossimo.

L’immagine del prossimo da amare come noi stessi, contemplata nella Legge di Mosè, è infatti simile, coincidente con quella di Dio mentre si china sugli uomini per redimerli, per addossarsi la loro iniquità e le sue conseguenze letali umiliandosi fino ad apparire più piccolo di loro, fino a farsi, in Cristo, servo e schiavo dell’uomo. E’ infatti bene chiarire subito come sia falsa l’idea che si possa fare del bene solo “donando dall’alto”, senza “chinarsi”, senza, “sporcarsi”, senza addossarsi e vivere contestualmente i mali di colui che vorremmo aiutare, in tutto o in parte. Cristo è dunque, per eccellenza, la figura centrale, univoca, modello fedele e riferimento del Prossimo da amare come noi stessi, quindi, da imitare con priorità assoluta, perché Egli soltanto, similmente al buon samaritano, ci ha soccorso, si è “abbassato” fino a noi da una posizione più elevata, addirittura divina, e ciò pur conoscendo perfettamente fin dall’inizio l’umana avversione che avrebbe raccolto e il danno che gli sarebbe derivato da questo contatto, cosa che lo avrebbe infine condotto a subire deliberatamente la morte infame. Egli era infatti considerato proprio alla stregua di Samaritano ed un indemoniato dai Giudei (da una parte di loro) come riferisce Giovanni al 8, 48. Perciò Egli dice che il secondo comandamento (ama il prossimo tuo come te stesso) è simile al primo (Ama il tuo Dio con tutto te stesso). Perciò dice, a ragione: – Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me…– E’ dunque riferendoci a Cristo che dobbiamo imparare cosa vuol veramente dire farsi prossimo e amare il prossimo, per capire come essere davvero misericordiosi.

In altre parole, l’amore di Cristo, l’amore col quale Egli si fa prossimo a noi uomini, è stato soprattutto un dono incondizionato e libero di sé, non tanto di cibo, bevande, aiuti materiali, medici, psicologici o buone parole, ma l’addossarsi sostanzialmente, i gravami, le malattie, la fame, l’eredità di tutte le brutture degli uomini, passate, presenti e future nonché subirne e patirne in sé stesso tutte le conseguenze dolorose e mortali nella loro parte più grave. Si tratta di un’azione universale, a livello interiore, intenzionale e spirituale quindi, prima ancora che esterna e materiale. Egli ha scelto così perché nel cuore era così e ci ha insegnato a fare altrettanto con i fratelli secondo la nostra reale, oggettiva possibilità e capacità. Sarebbe stato certamente più conveniente, se avesse agito come ora s’intende superficialmente la carità: distribuire a cascata cibo, doni divini e salute a tutti per essere subito incoronato re e dio dagli uomini. Ma questa non era la volontà di Dio, giacché non avrebbe mai soddisfatto la condizione di giustizia. Questo è, infatti, il modo d’agire proprio dei falsi profeti! Anche oggi non dobbiamo fare molta fatica per vederli intorno a noi in gran numero e tipologia.

Individuata senza equivoci la figura originale del prossimo, di riflesso, possono essere considerati “prossimo” tutti coloro che in qualche modo, nello Spirito di Dio e di Cristo, aiutano l’uomo a risalire la sua china, in altre parole, lo sollevano realmente dalla propria oggettiva indigenza, materiale, ma anche e molto di più, morale e spirituale. Questi vanno perciò trovati, riconosciuti, tenuti cari ed amati come sé stessi prima di tutto, dato che hanno la capacità ed il potere di ricondurci al Bene. Perciò, il nostro primo prossimo (se crediamo in lui), deve essere Cristo, poi potrebbero esserlo il coniuge, i figli, l’amico e, via dicendo, chiunque prioritariamente ci conduca e aiuti disinteressatamente, in un modo o nell’altro, sull’autentica strada di Cristo. Egli poi ci insegna come portare a compimento la Legge di Mosè rendendole il suo pieno, universale significato. Infatti, insieme ad una seconda individuazione del concetto primario di prossimo, dal Vangelo ricaviamo un prezioso consiglio laddove il Maestro aggiunge: Matteo 5, 46 – Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?– In questo senso, potremmo dire che il comandamento d’amore di Gesù è nuovo: nell’invitarci a fare come Dio fa verso l’uomo (Cfr. Matteo 5, 43-48), cioè nell’amare tutti gli uomini, anche i nemici. Il messaggio assume una particolare rilevanza ove rivolto a quei giudei che vedevano Gesù come un nemico della tradizione degli antichi, come un novatore, come un …samaritano indemoniato appunto.

Quelli che vi amano, vi soccorrono nella vostra indigenza, infermità, sventura (e molto di più se prima erano nemici come fu il samaritano per il giudeo derubato e percosso della parabola), appunto, sono il prossimo di cui parla in origine la Legge di Dio. Ma se non si ha rispetto dei deboli, se si fa un culto della propria superiorità, potrà accadere di non vole accettare l’aiuto da parte di uno considerato (a torto) nemico e di soccombere per questa stupidità.  Si capisce da ciò perché dovremo amare e riconsiderare soprattutto colui che, pure essendo “nemico etichettato”, non si si avvantaggia vilmente di un nostro momento di prostrazione o sventura per infierire ancor più su di noi, ma invece si prodiga per soccorrerci, decidendo di agire secondo una Legge di grado superiore a quella dell’uomo vecchio, bestiale, carnale, caotico che conosciamo ordinariamente, una legge che può essere solo Divina. Egli, così agendo, sacrifica in sé l’uomo vecchio e dà vita ad un nuovo essere appartenente alla stessa “generazione” (genetica) di Cristo e nello stesso tempo ci indica e ci insegna, col suo comportamento, come realizzare a nostra volta un Atto di indubitabile Carità, verso noi stessi prima di tutto. Amare questo Prossimo vuole dire comportarci a nostra volta, in occasione analoga come lui ha fatto.

Considerando la questione per l’altro verso, cioè in merito al comandamento biblico di soccorrere il proprio nemico, è bene fare una precisazione. I Proverbi, prima ancora di Cristo, ci insegnano giustamente: Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare, se ha sete, dagli acqua da bere; perché così ammasserai carboni ardenti sul suo capo e il Signore ti ricompenserà. Proverbi 25, 21-22.

Questa azione dell’amare il proprio nemico presuppone però un momento più o meno grave di debolezza  del proprio nemico (se ha fame, se ha sete), e, relativamente, di forza o potere da parte nostra che ci permetta di agire in tal senso, ovvero di potegli manifestare tangibilmente quel sentimento di fondo che abbiamo comunque nei suoi confronti.  I carboni ardenti così ammassati cascheranno sul capo del nemico e lo travolgeranno qualora egli stesso non applichi il secondo comandamento nei confronti di colui che lo ha soccorso, ma invece si giovi anche dell’aiuto ricevuto per portare a maturazione, con tradimento e somma perfidia, il frutto della sua inimicizia e del suo odio. Quando il nemico, sia invece potente e trionfante, il solo amore che eventualmente gli si può concedere è quello del nostro cuore, è quello di essere pronti ad operare appena ci siano le condizioni, o di pregare perchè comprenda e si converta dalle sue azioni malvagie.

Perché, allora, muovendo da insegnamenti sapienti e giusti, si è invece giunti, con assoluta perversione d’intento, ad invocare, predicare e ottenere aiuti ulteriori ad un “avversario dell’uomo” che è già fortissimo, a discapito di chi invece è più debole e ne subisce i guasti? Perché, in nome di un malinteso, qualunquistico, blasfemo, iniquo senso del perdono e della carità, si sono fatti passare ad ogni costo per “deboli”, frammisti a deboli veri, coloro che invece sono “fortissimi” nella menzogna, nelle truffe, nelle rapine, negli omicidi, nelle corruzioni e…. nei travestimenti? Anche qui l’iniquità ha trovato i suoi degni sacerdoti e ciascuno credo possegga tutti i mezzi per farsene un’opinione esauriente.

Il valore dell’insegnamento originale, anche da questo, non viene certo intaccato in nulla, però è giusto dichiarare che chi subisce impotente questo genere di ricatti ed ingiustizie sappia bene che il suo sacrificio non è vano, ma comunque prezioso agli occhi di Dio. Chi constata o sopporta in prima persona queste sperequazioni (che sono morali prima di tutto), e vuole seguitare a rimanere fermo nella giustizia, non deve reagire in nessun modo contro il “nemico mentitore”, pena l’errare gravemente e colpire coloro che invece potrebbero essere solo ostaggi innocenti o pedine incoscienti di un gioco molto più grande e perverso di quanto non si veda. La sopportazione di queste cose è comunque testimonianza concreta di fede in Dio e la fede testimoniata coerentemente, fino in fondo, a sua volta, determina la possibilità che Dio stesso si ponga in difesa infallibile e potente dell’uomo. Cristo, infatti, ci esorta a non contrastare, ma ad assecondare ancor più (facendo fede in Dio, sapendo che Egli non tradisce mai le sue promesse), coloro che pretendono da noi delle cose con arroganza : – ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Matteo 5, 39-45.

Per chi lo può capire ed accettare serenamente, questo modo d’agire è senz’altro il più giusto perché lascia a Dio la parola finale nella risoluzione di queste situazioni oggettivamente difficili, e poi insegna che è inutile e controproducente opporre resistenza fisica a colui che sicuramente è il più forte in quel momento ed in quel contesto particolari. Meglio dunque,a volte, assecondarlo nel raggiungere il suo fine, a totale vantaggio nostro. A che serve perdere la vita per salvare un portafoglio? La vita, infatti, vale ben più del vestito. Questa scelta però presuppone da colui che la vuole applicare la piena realizzazione del Cristo in sé stesso e una fede totale in Dio. Io trovo invece criminale pretendere dagli uomini l’istantanea realizzazione di questo grandissimo e potentissimo insegnamento, senza che nulla sia stato fatto affinché la loro coscienza potesse maturare appieno i frutti del Cristo. E’ come pretendere che un piccolo uccellino ancora implume sappia immediatamente volare fuori dal nido, scagliandolo giù da un precipizio, solo perché è un volatile. Questo è un altro bel danno che i falsi maestri dell’uomo hanno combinato ed il frutto che ne nasce è a volte l’intolleranza, a volte l’ipocrisia, a volte l’indifferenza, mai la Vita dell’uomo mai la giustizia! Essi infatti compiono le opere del loro padre che fu mentitore e omicida fin dall’inizio di sè!

L’unica azione valevole, che in tal caso si può fare senza tema di sbagliare, è destituire di fondamento e di valore sacrale, relativamente a sé stessi, solo nel proprio cuore e nei propri concetti, quell’autorità che crede di aver trovato in queste situazioni create ad arte un luogo dove porre il suo nido sicura di non dover mai giungere ad una resa dei conti. Questi fatti in ogni caso accadono proprio perché l’uomo possa rendersi conto di alcune cose dentro di sé.

Perché allora i poveri, gli indigenti, gli emarginati, coloro che nemmeno possono rendere contraccambio alcuno, devono essere considerati prossimo da amare, in altre parole, soggetti contemplati dal secondo comandamento? Essi divengono prossimo di un uomo (si fanno cioè prossimi a lui) nel momento in cui riescono a renderlo cosciente della sua iniquità (anche a livello generale,implicito, di pensiero e cultura imperante) ed indifferenza interiore. Quando uno si rende conto, capisce e riconosce, in sua coscienza e sostanza, che i poveri sono tali perché sopportano anche parte dei suoi gioghi, o peggio, subiscono tacitamente e sostanzialmente anche le conseguenze della sua iniquità, ad immagine di quello che Cristo fece, allora essi sono il suo prossimo. Pertanto, intendetemi bene, verificandosi queste condizioni, sarebbero le persone “normali”, che appaiono ordinariamente quali benefattori, a doversi riconoscere nei ruoli dell’ingiusto da redimere, del misero da salvare. A ben guardare, sono infatti loro i veri indigenti interiormente, e rimangono perciò obbligati verso il loro prossimo da un vincolo di riparazione alle ingiustizie commesse (o solo passivamente partecipate) e riconosciute tali, dalle quali hanno deciso di convertirsi realmente, proprio come Zaccheo fece, restituendo spontaneamente il maltolto e il frutto della frode due e quattro volte. (cfr. Luca 19, 8.). Egli riconobbe con Cristo la figura trionfante e futura dimorante da sempre negli inermi, in quei deboli che aveva probabilmente, per sua ammissione, angariato con la sua legittima autorità di esattore delle tasse. Il risarcimento materiale offerto, in questo caso, sarà sicuramente di valore inferiore al prezioso dono di redenzione ricevuto e riconosciuto intimamente, inferiore alla preziosità della nuova luce che illumina potente la coscienza e che quindi darà inizio al processo reale di conversione di quella persona dalle proprie iniquità. Tale dono, tuttavia, non può essere nemmeno intravisto se l’uomo non accetta dall’inizio di considerare l’altro, colui che giudica e gli appare inferiore, o anche nemico, degno come sé stesso di ricevere pari dignità e diritto. Il prossimo, inteso come colui che, pur povero fuori, è intrinsecamente ricco dentro, e solo per questo fatto eleva, cura e, indirettamente si prodiga verso colui che per molte ragioni potrebbe a ragione considerare come nemico e concausa della sua sofferenza (tanto quanto era il giudeo per il samaritano che lo soccorse o l’uomo in generale per Cristo), non può prescindere da un tipo di rapporto molto, molto personale, tacito, continuativo, intimo e spirituale, che se vogliamo ben guardare è anche assai più proporzionato e giustamente connaturato alle forze ed alle responsabilità del singolo. Infatti, una volta stabilito il rapporto di reciproca prossimità fra due persone è necessario comprenderne bene le funzioni. La parola prossimo, vuole dire vicino, affine. Ma per quale affinità riconoscerlo tale? In che cosa dunque ci giova il prossimo?

Chi si fa prossimo di una persona che ha momentaneamente un bisogno vitale d’essere sostenuta, chi lo fa in modo totalmente disinteressato (ciò è una precisa disposizione che deve essere preesistente al fatto, nel proprio cuore), e a prescindere da precedenti rapporti di amicizia o inimicizia con l’indigente, diviene l’interprete grandioso del canto di vittoria dell’uomo nuovo in Cristo su quello caotico, animale, istintivo,vecchio. Costui, così agendo, testimonia cosa vorrebbe fosse fatto a sé, venendosi a trovare in analoga situazione di debolezza. Prendendo ora ad esempio la parabola del buon samaritano chiediamoci: cosa egli ha davvero sostenuto e salvato, soccorrendo l’infelice colpito a morte dall’azione criminosa di un tipo d’uomo che è superato, bassamente istintuale, e non glorifica certo l’immagine divina che è in lui?

Il samaritano, con la sua pietà, ha soccorso proprio l’imago Dei nell’uomo, testimoniando efficacemente allo sventurato che l’uomo merita ancora fiducia, che, malgrado tutto, Dio è presente ed opera in quel momento attraverso il soccorritore, trionfando infine sulla morte. Il sacerdote ed il Levita, invece, passando oltre con indifferenza, non hanno reso testimonianza alcuna a Dio col loro agire. Quindi essi, al pari dei briganti, contribuirono a cancellare da colui che fu derubato e percosso alcuni tratti del volto divino di cui ogni uomo è portatore, essi, col loro agire hanno cioè limitato la percezione di Dio nella vita della vittima e forse mutilato in lei la speranza per sempre.

Siamo dunque prossimi di qualcuno, sostenendolo efficacemente, quando egli si trova davanti a noi in un momento d’assoluta incapacità di sopravvivenza e in grande debolezza perché gli eventi crudi della vita lo hanno prostrato e sconfitto, facendo venire meno la sua fiducia nell’uomo e in Dio o mettendola a dura prova. Questi eventi crudi, sono quasi sempre riconducibili ed imputabili ad una qualche figura che in quei momenti domina e detta la sua legge personale e spietata. Chi si fa veramente prossimo degli sventurati, agendo controcorrente, sconfigge perciò spiritualmente anche il potere che li ha resi tali, quale esso sia. Questa, ricordiamolo bene, è una legge assoluta.

Appare chiarissimo come intrufolandosi, anteponendosi con pretesa e false intenzioni in questo delicatissimo rapporto, è molto facile generare grande confusione esso articolandosi, nei due sensi, su una figura dalla doppia, reciproca valenza, ora interiore, ora esteriore.

Però osservo: perché per i problemi umanitari si coinvolgono di solito le coscienze delle persone, quando quei problemi sarebbero più di pertinenza di stati, chiese, autorità e potentati che li causano? Dal momento che loro amministrano, controllano le potenze, le finanze e le strategie globali, appartiene loro, la gran parte della responsabilità, degli sprechi, delle tragedie umane, delle corruzioni, delle guerre, ed anche la facoltà tecnica di risolverle o alleviarle. Perché allora i “teorici della solidarietà imperante” hanno voluto presentarci a tutti i costi un fronte allargato indefinitamente oltre le forze individuali, etichettando falsamente come prossimo nostro chiunque, con qualsivoglia intento, abbia deciso o sia stato consigliato di mescolarsi prepotentemente a noi recando anche protervia, pregiudizio, inganno e sopruso? Chi ha operato affinché l’ambito vitale degli uomini divenisse oltremodo impuro mira in verità ad inquinare e confondere ancor più il cuore stesso dell’uomo mettendo in conflitto il suo senso di giustizia interiore con un’applicazione perversa del Vangelo, affinchè il senso di giustizia innato nell’uomo sia piegato, sconfitto dall’evidenza della realtà. La coscienza dell’uomo comune, che non è preparata adeguatamente, viene messa in grave stallo dal crearsi di una situazione del genere, non potendo serenamente risolvere, in forma logica, il conflitto di coscienza tra il desiderio-dovere di rispettare la legge di Dio verso gli altri e la sovrumana sproporzione con l’impegno solidale che gli viene spudoratamente estorta con ingenti pressioni di tipo morale psicologico o peggio, anche a beneficio immeritato di chi gioca in modo sleale ed in totale malafede, disprezzando e oltraggiando incredibilmente i valori cardinali di coloro che sono chiamati a sostenerlo. Di qui origina il rischio concreto di deviazione nel razzismo omicida, per reazione, oppure il buonismo castrante, altrettanto idiota, falso e deleterio. E chi ha ordito e vuole queste mescolanze innaturali, pericolose di popoli e culture, senza alcuna preparazione preventiva, senza prima curarsi se esistano le condizioni per operare una tale operazione, approfitta grandemente per celare i suoi luridi mercati sporchi di sangue nella confusione, nel grandissimo disagio e disfunzione che inevitabilmente si creano.

Sì, costoro hanno deciso di usare la Parola di Cristo per tentare gli uomini e per tentare Dio in loro, scaricando in groppa alla gente comune tutto il gravame ormai insostenibile delle loro mancate, millenarie responsabilità e il debito immane ed ormai insanabile causato dai loro furti infiniti!

E qui ripeto ancora una volta che il nemico vero dell’uomo abita molto, molto più in alto dei miserabili e disperati che sospinge come scudi avanti a sé o che attira nella trappola per farne poi degli schiavi sotto molti profili. Per quest’altro “nemico” dell’uomo, che è quello originale e peggiore di tutti, io non credo sia nemmeno più il caso di pregare, dato che il peccato di cui si macchiano non sarà mai perdonabile. Questi problemi concreti della coscienza umana, infatti, non si affrontano mai sinceramente, nell’intento subdolo di rendere vera un’altra legge, che non è quella delle cose fatte bene, in coscienza, lungimiranza, sapienza e proprietà di metodo, ma unicamente dell’apparenza, della superficialità, del caos, dell’ammasso dei popoli utilizzati cinicamente e con calcolo a fini politici ed economici, pure avendo piena coscienza del futuro tragico che si sta così preparando agli uni e agli altri. Che cosa ha a che fare con l’amore verso il prossimo questo ricatto criminale che è stato impostato, nei due sensi, a carico di tutte le genti della terra, ponendo in essere delle promiscuità innaturali e forzate di valori e culture che sfoceranno, come già si vede anche nei paesi “civili”, in esiti esplosivi o, peggio, in schiavitù palesi o nascoste ed in anichilamento delle coscienze? Non mira forse, unicamente ed evidentemente, a distruggere nel cuore degli uomini la speranza nell’esistenza di una Giustizia universale possibile ed attuabile per tutti, mettendo in opera niente più che una bieca, grottesca rappresentazione di quello che vorrebbero far credere essere il Regno di Dio sulla terra? Questo agire non vuol forse sostituire alla coscienza individuale valida, vera e viva dei pacchetti logici comuni, preconfezionati ad uso e consumo dei suoi mendaci dominatori? Ciò infatti risulta assolutamente indispensabile per vivere bene nell’ambiente che essi hanno stabilito “per legge”. A questo proposito, si rammenti bene quel marchio di bestia che tutti devono, per volere della stessa, ricevere, sulla fronte e sulla mano, per poter comprare o vendere. (Cfr. Apocalisse 13, 16.)

Essi, hanno invece collocato i veri poveri, (il popolo di Dio), quali ostaggi legati sulle loro torri d’assalto, per celarsi dietro i bisogni dei loro corpi ed operare ancor meglio per portare a compimento il peccato eterno contro lo Spirito di Dio. Perché, piuttosto di flagellarsi, stimmatizzarsi, o “fare penitenza”, non si addossano sostanzialmente e in prima persona i veri gravami dell’umanità come Cristo fece? E quando esortano altri ad essere misericordiosi, secondo i loro modi particolari, perché non cominciano mai per primi a dare generosamente e concretamente il buon esempio, dimostrando di credere per primi in quello che dicono? E’ così poca cosa la sofferenza del mondo da doversene crearne artificiosamente dell’altra (le loro penitenze)? Perché invece di comprare o vendere, con denaro rubato o di dubbia provenienza, l’assoluzione dalle loro iniquità non si mettono ad agire con giustizia una volta per tutte?

Ho scritto che tutti i loro metodi di carità e solidarietà sono solo una scappatoia plateale, qualunquista e dopotutto sempre conveniente per risolvere il problema del prossimo e della giustizia al minor costo, senza cioè dover cambiare una sola virgola delle proprie leggi interne, senza voler toccare i pesi reali dell’uomo nemmeno con un dito. Ad altri invece addossano continuamente carichi sovrumani, e se non riescono a sollevarli come è preteso, allora saranno guai.

Al contrario, essendo l’individuo un essere limitato, è necessario che, agendo in piena coscienza, sia messo in grado di stabilire una scala di priorità. Questo deve avvenire guardando non solo alle sue forze, ma soprattutto al grado di personale realizzazione (comprensione) del Cristo, sola Forza che completa e supera l’onnipresente limite umano. L’uomo che ancora non sa dire alla montagna o al gelso di trapiantarsi nel mare deve quindi riconoscere un limite al suo agire per non incorrere nel rischio che, per farsi prossimo dei lontani, finisca per ignorare chi gli è vicino, o peggio, creda d’esser migliore di Dio nel soccorrere. Noi dobbiamo perciò amare il prossimo come noi stessi quando riconosciamo Cristo che ci soccorre nel prossimo. Se non lo riconosciamo, in tutta coscienza e ciò può avvenire per le ragioni più svariate, allora dobbiamo prima soccorrere e difendere inderogabilmente la nostra coscienza, cioè noi stessi, cioè il Cristo dentro noi stessi perché è nostra la massima indigenza, quella più grave. Infatti se un atto non viene fatto in coscienza e fede, è meglio non sia fatto assolutamente ed in questo caso non spetta più all’uomo di provvedere alle necessità del mondo e dei poveri, necessità che sono comunque più grandi di lui, ma alla Provvidenza e Carità di Dio. Altrettanto, il demandare a terzi, che non siano realmente fratelli, quello che non si è saputo o voluto fare personalmente, nel caso della solidarietà, può essere un investimento dalle imprevedibili fruttificazioni. Io lo sconsiglio vivamente. E’ poi indiscutibile il fatto che, per solo amore di giustizia, qualora sia in potere di qualcuno alleviare le sofferenze d’ogni uomo, solo da ciò dovrebbe scaturire il dovere di farlo, in modo spontaneo, gratuito, diretto, naturale, non solo con il denaro, ma come risulti, in tutta coscienza, in ogni forma possibile, intelligente ed utile. Tutti infatti abbiamo perfetta coscienza di cosa siano la fame, la sete, la nudità, la malattia, la sventura e l’indigenza e tutti abbiamo, secondo le nostre possibilità, limiti e poteri, il dovere di affrontare alla meglio queste scomode, umilianti eredità dell’uomo e dei fratelli. Ma quando la cosa viene demandata superficialmente a terzi, che nessuno si faccia illusioni! Si raccoglieranno i frutti proporzionati all’ipocrisia seminata. Inutile anche rimarcare che da una buona coscienza deriverà sicuramente un buon aiuto, ma da una cattiva sarebbe preferibile non venisse mai nulla. E’ altrettanto chiaro, fin d’ora, che chi ha potere,sapienza, autorità, ricchezza, dovrà rendere conto di molto anche in tal caso, a differenza di colui che da questo potere è stato escluso o non è partecipe. La differenza con il comune, pretenzioso, anonimo e massale intendere le azioni caritative, comincia qui a farsi sensibile. Certo il potere di apparenza e di adescamento sui sentimenti umani che esse manifestano è davvero notevole. Perché, donare aiuti ad un popolo qualsiasi che si trova nell’indigenza, appoggiato fra i molti, da coloro che si sono voluti addossare quest’impegno in prima persona, ma poi pretendono di coinvolgervi e obbligarvi (con quale autorità etica non si sa), nella loro scelta personale. Essi fanno tutto ciò mettendovi sempre di fronte a fatti già compiuti, ostentando problemi irrisolvibili, agendo sui vostri sentimenti ed emotività dai quali ho già avvisato di guardarsi attentamente poiché sebbene possano accompagnarsi sovente alla compassione vera, non la generano, se questa già prima non esiste. Certo, di primo acchito la cosa si può anche fare, ma subito dopo sorge il dubbio atroce: con quale diritto, cognizione e giudizio operare una scelta fra un popolo ed un altro, fra una famiglia ed un’altra, fra un bambino ed un altro? (O forse si desidera proprio, anche in questo caso, che le scelte dell’uomo non avvengano mai in libertà e piena coscienza?) Non è l’arrogarsi una scelta umanamente troppo difficile, che è meglio rimettere a Dio prima che agli uomini? E coloro che non hanno nessuno che raccomanda la loro causa, non diventano ancor più bisognosi ed emarginati di quelli che hanno “la fortuna” di trovare un aiuto solidale in qualche organizzazione caritativa? Se uno ringrazierà, un altro, forse nella baracca accanto, non piangerà più amaramente, sentendosi maggiormente emarginato per questo? Saremmo così la concausa di una perdita della speranza in costui o della crescita di un sentimento di invidia? Nessuno si è accorto che è lo stesso fenomeno per cui, durante le cosiddette grandi festività cristiane obbligatorie, ciò che per i “normali” parrebbe essere motivo di gioia, si converte per alcuni altri in motivo di tristezza e solitudine ancor più grandi? La solitudine dell’emarginato (che esiste anche in Roma ad un passo appena dalla massima concentrazione di santità cristiana), non per caso né per invidia, aumenta tragicamente quando la comunità è festante e ciò è prova d’accusa per quella comunità. E’ questa che può dirsi carità cristiana? Come possono veramente gioire sapendo che anche uno solo ne viene escluso e patisce ancor più? Come riescono a stornare da loro stessi la presenza della sua sofferenza? Come possono cancellare dal loro cuore la coscienza del dolore sempre presente nel mondo? Perché invece, se sono davvero solidali e cattolici come pretendono, non piangono con chi piange, non digiunano con chi ha fame, sempre, e non solo in giorni particolari? Perché la loro gioia non ha saputo attendere il Giorno del Signore? Ipocriti, perché ascoltano la parola di Paolo solo quando fa loro comodo? Tutti sono pronti a santificare inutilmente persone già sante come, ad es., Padre Massimiliano Kolbe, ma quanti di loro opererebbero la stessa scelta, anche se non si richiedesse di morire al posto di uno sventurato, ma solo di vivere o condividere per amore piccola parte del suo giogo? E ricordo che il giogo di Cristo, proprio grazie al suo Sacrificio, è per noi soave e leggero. Si è poi certi di non donare ai poveri solo ciò che ci avanza o lo scarto o il superfluo? Quanto valgono davvero i poveri per la coscienza di costoro? Perché si è universalmente individuato nel denaro l’unico mezzo per amare gli altri? Ciò mi ricorda tanto il senso di solidarietà di Giuda: -Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: «Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Giovanni 12, 4-6.

Questi sono dilemmi dalle improbe risposte che sorgono a cascata proprio quando viene stravolto il senso di un insegnamento a fini diversi da quelli dichiarati esteriormente. La vastità dei problemi umanitari del mondo ha fatto in modo che per tentare di risolverli, la via comunitaria, cooperativistica, ecclesiale, comune fosse quasi unanimemente assunta come rimedio infallibile, come sola panacea universale, si è deciso che laddove occorre un grande sforzo, soltanto molte persone insieme possano raggiungere lo scopo. Contemporaneamente si è voluto proditoriamente aumentare il “volume apparente”, l’aspetto propagandistico di queste imprese, a totale discapito della loro qualità intrinseca, cosa che avrebbe invece garantito la loro auto-sussistenza nel tempo. Si è, secondo me, tralasciato gravemente di ricorrere a Dio in questi frangenti e la comunità umana, ancora una volta, ha voluto occupare prepotentemente un posto che non le compete. Esistono indubitabilmente persone particolari, rare, dotate di autentica, divina vocazione per svolgere anche questo tipo di missioni, ed esse vanno sicuramente aiutate ed incoraggiate. Tuttavia, anche qui come nelle chiese, mi risulta che troppi lupi travestiti si siano mescolati alle pecore, i mercenari ai pastori, i ladri ai benefattori autentici ed è perciò necessario capire i princìpi delle azioni per ben riconoscerli, pure restando cautamente in silenzio per non rischiare di danneggiare i poveri, gli ostaggi detenuti in mano loro. Ciascuno continui perciò a fare come meglio crede e può in coscienza, pur meditando queste cose. Ci pensa Dio, anche in questo caso, a rendere il giusto, infallibile, puntuale contraccambio! E’ la tesi comunitaria che io voglio mettere assolutamente in discussione, allorché incarna, anche in queste cose, lo stesso teorema di Babele e perché ancora una volta non tiene nessun conto del potenziale enorme che può provenire dall’uomo singolo quando sia realmente convertito a Dio. A che serve, infatti, istruire il terzo-quarto mondo a vivere civilmente, a che valgono la scuola, il vestito, la medicina, il finanziamento, il mercato, se poi questi uomini cresceranno sì pasciuti e istruiti nel corpo, ma indotti a ricommettere con ancora più forza e mezzi gli stessi errori ed orrori congeniti alle civiltà che, bene o male, hanno contribuito a ridurre i loro popoli in tali miserevoli condizioni? Il progresso dell’uomo è dunque ridotto ad essere una scala dei disperati dove chi vuol salire deve calpestare il suo sottoposto? A cosa serve nutrire per bene una persona che, appena in forze che sia, sarà indotta obbligatoriamente a vivere secondo le leggi inique ed onnipresenti del mercato, della convenienza, della clientela o, peggio ancora, si farà artefice di potere su altri come lui, ma più deboli? A cosa serve nutrire meglio i popoli se non si è in grado di cambiare il mondo e le sue leggi una volta per tutte? Questo traguardo si può raggiungere solo mutando il cuore delle persone, e ad un livello di spiritualità che tutti quelli che non conoscono Cristo non sanno nemmeno ipotizzare. Perché, invece, ogni persona che abbia ricevuto il giusto nutrimento spirituale, non diviene mai pronta e capace di perpetuare la stessa cosa (moltiplicare e spezzare il proprio pane), nei confronti dei suoi fratelli minori, di saper fare quindi agli altri ciò che in bene è stato fatto a lei? Se noi considerassimo ogni singolo uomo simile ad una mensa imbandita (piuttosto che ad un pozzo senza fondo da riempire continuamente), non sarà assai più grande il numero di coloro che possono sedersi a mangiare quando i tavoli sono singolarmente separati, piuttosto che riuniti a formare una sola grande piazza? Se non si è ancora voluto capire, è proprio questo il segreto per vincere il mare infinito delle indigenze umane: l’uomo veramente ricco di Dio che soccorre l’altro come sé stesso e lo fa altrettanto ricco comunicandogli fedelmente le Cose di Dio, il Tesoro Santo da cui scaturisce ogni bene reale. Purtroppo questo è un segreto che è stato nascosto, falsato, dimenticato o svenduto già dai primi momenti di vita delle chiese, soppiantato invece dai suoi inutili surrogati rituali e comunitari dei quali la carità superficiale non è che il più arduo da dipanare. Così come una piccola fiamma è in grado di scatenare un enorme incendio, comunicandosi naturalmente da un elemento ad un altro, questo farà infallibilmente la parola di Dio seminata nel cuore dell’uomo, malgrado in tutti i modi si sia cercato di spegnerla, adulterarla e soffocarla. Non so quali e quante vittime ci saranno ancora, ma conosco per certo che Dio non perde mai nulla di quel che è suo e raggiunge comunque i suoi scopi in Giustizia. L’umano sentimento di pietà, per quanto importante, per quanto immanente e fortissimo di fronte alla visione queste miserie, è purtroppo ingannevole e limitato, non può e non deve mai anteporsi o sostituirsi alla limpida, genuina, personale cognizione di Dio, il Padre di tutti. Esso non deve cancellare dalla nostra mente, come tenta di fare, il ricordo della reale presenza e partecipazione di Dio alle tragedie, pur inevitabili, della storia umana. Perciò Cristo disse a quel tale cui era appena morto il padre e voleva seguirlo, ma dopo aver espletato il pietoso ufficio della sepoltura: …lascia che i morti seppelliscano i loro morti, tu va a predicare il Regno di Dio. Cristo insegnava così che il sentimento umano, anche di pietà, non conduce a nulla, a differenza del Regno di Dio che invece conduce davvero a tutto, anche a risuscitare i morti, ad eliminare la morte per sempre. Io non voglio con ciò abolire le forme caritative, io non consiglio di non dare ai poveri, voglio solo mettere in guardia che si sta percorrendo una strada dai falsi fondamenti, perché, malgrado le diciture, i buoni sentimenti e le apparenze è una strada che troppe volte non conosce realmente Cristo! E’ una via che giungerà comunque a trasformare l’intenzione semplice e pura dell’uomo in un vincolo di schiavitù per sé o per altri. Perciò considero un grave malinteso demandare a terzi quello che noi potremmo fare in prima persona, perciò considero disonesto ricercare il bisogno lontano prima d’aver accudito quello vicino, perciò considero moralmente criminale risolvere tutto sempre e soltanto in una questione di quantità di denaro! Viene offerta una scappatoia che sembra conveniente, un panno caldo, per sedare i problemi di coscienza, che invece ha lo scopo di spremere risorse di ogni genere dall’uomo e ridurlo all’impotenza nel cercare e comprendere anche nell’altro la presenza soccorrente di Dio. Non si considera mai che coloro i quali esercitano il volontariato e la solidarietà potrebbero essere truffati due volte? I problemi che essi cercano di risolvere infatti sono quasi sempre originati da “lacune” dei poteri cui spetta il dovere di farsene carico. La fame, ad es, non proviene sovente dal clima avverso o dalla terra sterile, ma dal latifondo e dalla dittatura, quindi da un potere di questo mondo. Chi, col suo agire “caritatevole” emenda le mancate responsabilità dei poteri, quindi, contribuisce indirettamente a renderli ancora più forti, a fornire loro ulteriore credibilità, quindi tempo e spazio perché possano continuare la rapina, essi divoreranno infine anche il frutto degli aiuti e queste risorse saranno così indirizzate a maggior danno dell’uomo! Chi ci dice che anche in condizioni d’estrema indigenza non si possa trovare un modo, magari risicato, provvisorio ma libero, per vivere in ogni caso con dignità? Perché non si insegnano queste cose, ma si inculcano e reiterano invece tutti i difetti le abitudini anticristiane presenti nelle nostre società ricche, evolute ed ipocrite? Cosa impedisce al povero di vivere in un ambiente privo di immondizia disseminata ovunque? Perché, ad es., non si consiglia di bollire l’acqua da bere, prima di richiedere denaro per comprare a caro prezzo le medicine contro il colera? Perché la vita dell’uomo deve essere sempre condizionata dal portafoglio e mai da quello che ha nel cuore? Questo avviene perché il sistema che è stato impostato ormai domina anche e soprattutto in coloro che dovrebbero essere, ma non sono, i reali, scomodi, ormai improbabili testimoni di Dio, che invece hanno perso irrimediabilmente la strada fin dagli inizi. Ciechi che guidano altri ciechi alla fossa! Essi hanno consacrato (dedicato) inutilmente a Dio ogni cosa meno che quella più importante: la vita ed il cuore umano. Chi sostiene che la preghiera non serve, da sola, a mutare il destino dei popoli è un falso profeta, un propagatore attivo di lebbra e cancrena spirituale, cosciente o incosciente che sia. Chi afferma queste cose testimonia solo che egli non sa pregare col cuore e che il suo vero dio è mammona, o perfino qualcosa di peggio! In ciò essi palesano indubitabilmente qual’è il dio onnipotente in cui credono davvero: il dio uno, trino, ma anche e soprattutto quattrino! E’ dunque assolutamente saggio, prima di passare alle operazioni caritative materiali, porre ben altri fondamenti nello spirito nostro e dei poveri perché il mangiare, il vestire, il soccorrere, il visitare di cui parla Cristo in Matteo 25, 31 non si riferisce centralmente ad interventi materiali, che sono soltanto scaturigini secondarie, automatiche ed inevitabili del loro principio spirituale, vivo e cardinale. Tali concetti (bere, mangiare, vestire, liberare ecc.) infatti, si riferiscono costantemente al portare e testimoniare al fratello la genuina conoscenza di Dio, la luce di Dio, cioè a sfamare, liberare, vestire, soccorrere, accrescere quel Dio vero che c’è già nell’uomo da sempre. Tutto ciò, quando dimorante nella sua coscienza diviene il motore instancabile, eterno e la sorgente naturale d’ogni bene autentico. Naturalmente, più ci si allontana dal centro vivo di queste considerazioni, più diminuisce il loro valore sacrale, assoluto, morale, ed esse possono perciò essere considerate alla pari di tutto il resto: vanità delle vanità. E qui, per ammettere cose che seguono purtroppo l’andazzo di molte altre, ci vogliono un grandissimo coraggio e voglia di osare che parrebbero mancare nella gran parte degli addetti ai lavori. Secondariamente, ci vuole anche una grandissima cognizione di causa in quanto non si considera mai se un popolo o un individuo è indigente per ingiustizia esterna subita o per cagione propria. A seconda del caso, si comprende che gli aiuti da fornire dovrebbero essere di natura assai differente, pena conseguenze tragiche. Ma per chi è impegnato solo nella considerazione delle cifre e delle quantità, ei bilanci politici in gioco questo importa assai poco, come del resto la vita delle persone. L’azione di Dio, stranamente, non tiene in credito quanto l’uomo la “fame” o le brame dei popoli, secondo me per un semplice motivo che è prima di tutto di sapienza medica, e chi può capire comprenda. Laddove sia in atto una malattia grave, l’improvvisa somministrazione di forme d’energia improprie, improvvise, all’organismo, andrà più a vantaggio del male che non del malato e la procurata, “pietosa” cancellazione dei sintomi sgradevoli interferisce spesso col processo di guarigione che l’organismo naturalmente mette in atto se lasciato operare. Certo, si obbietterà, ma se il malato muore di fame è peggio. Io rispondo che presto o tardi tutti dobbiamo in ogni modo morire, e proprio per volontà di Dio! E moriranno di certo anche quelli che mangiano sempre tanto e bene! Non è la lunghezza o la migliore qualità della vita carnale che importa ai fini della salvezza, (la carne non giova a nulla) altrimenti l’insegnamento dei passeri (Matteo 10, 29), lasciatoci da Cristo non sarebbe vero. Dio non ragiona alla luce del comunismo né del consumismo. Io non credo che Egli ci abbia mentito, ritengo invece che altri abbiano mentito sapendo quello che facevano e se ora l’abisso appare nelle sue inimmaginabili e terribili dimensioni, ciò non è per colpa di Dio, o di coloro che non vogliono stupidamente cascarci, ma invece anche di questo verrà chiesto conto a quelli che stanno sopra tutti, ai luminari, agli astri, a quella sorta di “milizia celeste” che dimora, variamente travestita, fra gli uomini e che detiene, ancora per poco ritengo, il potere di influire sulle cose materiali e “spirituali”. Il ricatto che viene costantemente perpetrato e perpetuato davanti alle coscienze degli uomini si potrebbe paragonare, anche se ciò è insufficiente a rendere l’idea, a quel modo odioso di sconcertare i propri avversari che viene adottato da coloro che usano ostaggi come scudi umani per proteggere sé stessi durante le azioni criminose. Così anch’io, affermando questi principi, che pur ritengo veritieri, sembrerei messo nella condizione di “aprire idealmente il fuoco” a danno di coloro che non hanno parte attiva in questo scontro in onore della Verità ma, anche nel campo della solidarietà umana, devono sempre e solo subire. Pertanto vorrei che queste mie parole rimanessero solo nel campo dei ragionamenti edificanti la coscienza, almeno fino a quando i tempi, col loro fluire incessante, abbiano lavato e chiarificato completamente il cuore di ciascuno.

Nessuno, tuttavia, può imporre la carità, la solidarietà, né la misura o la direzione di esse, creando ad arte delle situazioni di palese ed iniquo squilibrio a danno dell’uomo. I soliti furbi, hanno creduto bene nascondersi dietro le parole di Cristo, comportandosi come nemici spietati dell’uomo, certi così di ricevere, oltre ai proventi delle loro iniquità, anche le benedizioni, il perdono e le preghiere che Cristo insegna ad usare verso i propri nemici. Una posizione incontestabilmente vantaggiosa ed apparentemente inattaccabile in cui si sono arroccati. Ma le parole del Cristo, analizzate nel loro reale significato (ed Agostino non lascia dubbi), non servono affatto a nascondere, avvallare o giustificare le nefandezze di questi individui, come essi pretendono e hanno in certo modo lasciato credere. Costoro, secondo il Vangelo, non sono già quelli di cui tutti gli uomini dicono bene? Non sono quei tali che somigliano ai falsi profeti? Il benedire (dire-bene, approvare) ancor più queste persone non vuole significare rendere appoggio e testimonianza alla loro menzogna, completando perciò il motivo della loro condanna? No, certo! Cristo non ebbe mai a benedire (nel senso di approvare) i farisei o i sommi sacerdoti, che pur sapeva e dichiarò essere nemici mortali dell’uomo e di Dio. Cristo rispose col perdono, chiedendo a Dio il perdono per tutti e fornendo anche la motivazione: …perché non sanno quello che fanno… Ebbe così a pregare anche per i suoi persecutori. Il pregare, il fare del bene in favore del nemico, dell’empio, o del presunto tale, quindi non significa affatto pregare e operare affinché prosperi ancor più, non significa, per il vero cristiano, unirsi servilmente al coro unanime di coloro che già dicono bene di lui, vuole dire semplicemente presentare la causa a Dio e rimettere a Lui ogni decisione, rinunciando a pretendere e ricercare soddisfazione secondo gli uomini. Se poi Dio lo lascia prosperare ulteriormente, questo non ci deve far perdere la fede, ma significa che: o non abbiamo visto bene (e ciò è possibile), o che l’empio viene condotto al fondo delle sue scelte con rinnovato vigore. In ogni caso la giustizia divina seguirà il suo iter inesorabile, in questo modo, mentre, nell’azione secondo l’uomo, solo l’ingiustizia prospera. E’ quindi una paziente, continua rinuncia ad esigere immediatamente il saldo del debito quella preghiera, quella benedizione, che il vero cristiano fa nei confronti dei suoi nemici e persecutori. E’ quindi una costante, fedele, sofferta testimonianza resa alla Verità di Dio il bene che il vero credente fa ai suoi nemici, mostrando loro, come spiega meravigliosamente Agostino un esempio di santità e giustizia da poter imitare a loro volta. Questa è un’azione dove la giustizia trionferà sempre, senza pericolo d’errore! Non è mai il consegnare al “nemico” o allo sconosciuto le “chiavi della propria città” o il “timone della propria barca” come si va predicando e pretendendo. Ce lo ha insegnato proprio Dio, allontanando immediatamente l’uomo dal suo Paradiso dopo che fu contaminato dal serpente. Si può capire allora perché Cristo sancisce una discriminazione, fra “figli di Dio” e “cagnolini”, stabilendo una priorità d’intervento e attestando poi come la fede in Dio sia l’unica forza in grado di abbattere qualsiasi barriera anche temporale, razziale, storica e genetica, oppure di innalzarne altre assai più agguerrite ed invalicabili. Cristo vuole solo testimoniare che anche la solidarietà, l’essere benefattori, se non è contemplato nell’esatto disegno di Dio, se non scaturisce prima di tutto da un’oggettiva, concreta, intima conoscenza della Sua volontà, se non viene accettato o riconosciuto nella Sua superiore ottica, non serve ad aiutare veramente l’uomo, ma solo a “sfamare dei cagnolini”, cioè a nutrire la bestia che è in lui, la parte animale, ed è quindi privo di reale significato salvifico (soteriologico), atto del tutto inutile, universalmente vano. Non fu infatti, secondo la cronaca evangelica, la pietà particolare o il sentimento emotivo di Cristo ad ottenere la grazia per la figlia indemoniata alla donna Cananea bensì la fede interiore della donna in un Dio superiore comunque buono, fede che ella custodiva nel cuore indipendentemente dalla sua razza e dai costumi idolatrici che ivi dominavano. Questo era un fatto assai fuori dalle righe per la concezione rigida e carnalmente genetica dei popoli che imperava in quel tempo, ma da Cristo sarà comunque proclamato in tutta verità poiché non poteva diversamente avvenire. Cristo preconizzava così che esiste una “genetica” di ordine superiore a quella codificata nel seme dell’uomo ed è proprio la presenza di questa “genetica particolare” che fa costituire l’altro come prossimo come fratello dell’uomo. E’ razzismo questo? No! E’ Verità.

S. Agostino:

OMELIA 8va alla 1a Lettera di S. Giovanni.

Dal sito http://www.augustinus.it/ dove è possibile reperire tutte le opere di questo Dottore.

Nessuno ha veduto Dio… Sii umile, cerca la gloria di Dio, permani nella carità. Desidera che il nemico diventi fratello, il povero autosufficiente, l’indotto dotto. Sottomettiti a Colui che ti è superiore e che è venuto come medico a cercarti e guarirti, spinto solo dall’amore. [Una lode che può sempre durare.] 1. Amore, parola dolce, ma realtà ancora più dolce. Non possiamo parlare sempre di essa. Noi infatti siamo occupati in molte cose e svariate attività c’impegnano ovunque, cosicché la nostra lingua non sempre ha tempo di parlare dell’amore: anche se non c’è cosa migliore che parlare di tale argomento. Ma quella carità della quale non sempre è possibile parlare, sempre è possibile custodire. Così l’Alleluia che ora cantiamo, viene forse da noi sempre cantato? Appena la durata di un’ora, anzi a mala pena per una breve frazione noi cantiamo Alleluia; poi ci occupiamo di altro. Alleluia, come già sapete, significa: Lodate Dio. Chi loda Dio con la lingua, non sempre può farlo; chi invece lo loda con la vita, può sempre farlo. Sempre bisogna attuare opere di misericordia, sentimenti di carità, pietà religiosa, castità incorrotta, sobrietà modesta; sia che siamo in pubblico, o in casa, in mezzo agli uomini, nella nostra stanza, quando parliamo e quando taciamo, quando siamo impegnati in qualche lavoro o siamo liberi da impegni; sempre bisogna osservare quei doveri; perché queste virtù che ho nominato sono dentro di noi. E potrei mai nominarle tutte? Esse sono come un esercito di un generale che ha il suo comando dentro la tua mente. Come il generale, per mezzo del suo esercito, attua ciò che più gli piace, così il Signore nostro Gesù Cristo, incominciando ad abitare nell’intimo dell’uomo, cioè nella nostra mente per mezzo della fede (cf. Ef 3, 17), usa di queste virtù come dei suoi ministri. E per mezzo di queste virtù, che non possono essere viste con gli occhi, e che tuttavia, se nominate, vengono lodate (non verrebbero lodate se non fossero amate, non sarebbero amate se non si vedessero; se non si possono amare senza che si vedano, sono però viste da un altro occhio, cioè, dallo sguardo interiore del cuore), per mezzo di queste virtù invisibili vengono mosse le membra in modo visibile: i piedi per camminare; ma dove? dove li possa muovere la buona volontà, che milita sotto un buon generale. Le mani per operare; ma che cosa? ciò che la carità avrà comandato, interiormente suscitata dallo Spirito Santo. Le membra dunque si vedono quando si muovono, ma colui che comanda al di dentro non si vede. E chi sia dentro a comandare, lo sa propriamente solo colui che comanda e colui che dentro riceve il comando. [Sia lodato in te Colui che per tuo mezzo opera.] 2. Infatti, o fratelli, avete da poco udito leggere il Vangelo; l’avete però veramente udito solo se avete prestato non solo l’orecchio del corpo ma anche quello del cuore. Che cosa disse? Guardatevi dal fare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere veduti da loro (Mt 6, 1). Forse Cristo volle questo: che qualunque bene noi facciamo, ci nascondiamo agli occhi degli uomini e temiamo di essere visti? Se temi quelli che ti guardano, non avrai nessun imitatore: devi dunque essere visto. Ma non devi agire per questo scopo, cioè per essere visto. Non qui deve essere il fine della tua gioia, non qui il termine della tua letizia, così che tu ritenga di aver conseguito tutto il frutto della tua buona opera, una volta che sei stato visto e lodato. Tutto ciò è niente. Disprezza te stesso, quando vieni lodato: sia in te lodato colui che opera per mezzo tuo. Non voler dunque operare per la tua lode il bene che fai, ma per la lode di colui da cui hai di che fare il bene. Da te hai solo la forza di agire male, da Dio quella di agire bene. Al contrario gli uomini perversi vedete come pensano diversamente. Vogliono attribuire a sé quel bene che fanno; se fanno male vogliono accusare Dio. Capovolgi questa specie di stortura e perversione che mette, in certo qualmodo, tutto sottosopra: sotto ciò che è sopra e viceversa. Vuoi abbassare Dio e innalzare te? Allora precipiti, non ti elevi: egli infatti sta sempre in alto. Che dunque? A te forse il bene, a Dio il male? Di’ questo, piuttosto, con maggiore verità: A me il male, a lui il bene; e quel bene che ho io, deriva da lui; infatti qualunque cosa io faccia da me, è male. Questa confessione rafforza il cuore e pone il fondamento dell’amore. Se infatti noi dobbiamo nascondere le nostre opere buone, affinché non vengano viste dagli uomini, che ne è della sentenza contenuta nel sermone che il Signore pronunciò sul monte? Un po’ prima aveva detto: Risplendano le vostre opere davanti agli uomini. Né si fermò qui, ma aggiunse: E glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5, 16). E l’Apostolo che cosa dice? Io ero un volto sconosciuto alle Chiese della Giudea, che sono in Cristo; tuttavia esse erano intente ad ascoltarmi, perché chi una volta ci perseguitava, ora evangelizza quella fede che un tempo perseguitava; ed essi davano gloria a Dio a causa mia (Gal 1, 22-24). Vedete in che modo anche lui, facendosi conoscere, non si propone la sua lode ma quella di Dio. E per quanto lo riguarda, lui stesso si confessa devastatore della Chiesa, persecutore insaziabile e malvagio; non siamo noi ad incriminarlo. Paolo preferisce che i suoi peccati siano da noi detti, affinché colui che sanò tale malattia venga glorificato. La mano del medico infatti incise la vasta ferita e la risanò. Quella voce proveniente dal cielo abbatté il persecutore e fece sorgere il predicatore; uccise Saulo, diede vita a Paolo (cf. At 9). Saulo era persecutore di un uomo santo (1 Sam 19); questo il suo nome quando perseguitava i Cristiani; poi da Saulo divenne Paolo (cf. At 13, 9). Che significa Paolo? “Piccolo”. Dunque quando era Saulo, era superbo ed altero; quando fu Paolo, divenne umile e piccolo. Perciò noi diciamo: ti vedrò un po’ dopo (paulo post), cioè tra poco (modicum). Senti allora come si dichiara piccolo: Io infatti sono il più piccolo degli Apostoli (1 Cor 15, 9); ed ancora: A me, il più piccolo di tutti i santi (Ef 3, 8), come afferma in altro luogo. Egli era, tra gli Apostoli, come la frangia di un vestito; ma la Chiesa delle genti, come l’emorroissa, la toccò e guarì (cf. Mt 9, 20-22). [La carità mai venga meno nel cuore.] 3. Dunque, o fratelli, questo io ho voluto dirvi, questo vi dico, questo, se potessi, non vorrei mai cessare di dire: fate l’una o l’altra opera secondo le circostanze, le ore, i tempi. Forse che si può sempre parlare? sempre tacere? sempre mangiare? sempre digiunare? sempre dare pane al povero? Sempre vestire gli ignudi? sempre visitare gli ammalati? Sempre pacificare i litiganti? Sempre seppellire i morti? Ora si fa una cosa, ed ora un’altra. Questi atti vengono iniziati e poi sospesi: ma il principe che li comanda non ha inizio né deve cessare di esistere. La carità non venga interrotta nell’animo: le opere della carità vengano invece attuate secondo l’opportunità. Rimanga, come è stato scritto, la carità fraterna (cf. Eb 13, 1). [Amore dei nemici e dei fratelli.] 4. C’è un interrogativo che forse ha turbato qualcuno di voi, in questo tempo che abbiamo dedicato alla trattazione dell’Epistola di San Giovanni; e l’interrogativo è perché mai egli non fa altro che raccomandare la carità fraterna. Dice infatti: Chi ama il fratello (1 Gv 2, 10); e poi: A noi è stato dato un comandamento, che ci amiamo a vicenda (1 Gv 3, 23). Molto spesso egli ha nominato la carità fraterna: mentre non così spesso ha nominato l’amore di Dio, e cioè la carità con cui dobbiamo amare Dio; in realtà non l’ha del tutto tenuta sotto silenzio. Non parlò affatto invece dell’amore verso il nemico in quasi tutta l’Epistola. Mentre con tanta forza ci predica e ci raccomanda la carità, non ci dice di amare i nemici. Ci dice invece di amare i fratelli. Poco fa, nella lettura del Vangelo, abbiamo sentito: Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa avete? Non fanno questo anche i pubblicani? (Mt 5, 46). Perché dunque Giovanni ci raccomanda tanto, per acquistare la perfezione, l’amore fraterno, mentre il Signore dice che non ci basta amare i fratelli, ma dobbiamo spingere il nostro amore fino ad amare i nemici? Chi si spinge fino ad amare i nemici, non dimentica per questo di amare i fratelli. Deve anzi fare come fa il fuoco che prima si attacca alle cose vicine e poi si propaga a quelle più lontane. Il fratello ti è più vicino di qualsiasi altro uomo. A sua volta ti è più vicino colui che non conosci e tuttavia non ti è nemico, che non il nemico il quale si oppone a te. Spingi il tuo amore verso i più vicini, ma non chiamare ciò un allargamento del tuo amore. Se ami quelli che ti sono vicini, ami in pratica te stesso. Spingiti ad amare quelli che non conosci, che non ti fecero nulla di male. Ma va’ anche oltre; spingiti ad amare i nemici. Questo con certezza ti comanda il Signore. Perché allora Giovanni ha taciuto sull’amore al nemico? [E’ più puro l’amore per chi non è bisognoso.] 5. Ogni dilezione, anche quella carnale, che abitualmente si chiama amore e non dilezione (dilezione si dice di solito dei sentimenti spirituali e ad essi piuttosto si estende il suo significato), tuttavia ogni dilezione, o fratelli carissimi, suppone una certa benevolenza verso quelli che amiamo. Infatti non dobbiamo provare verso gli uomini una dilezione, che del resto è impossibile, o amore [lo stesso Signore ha usato questo termine quando chiese: Pietro, mi ami tu? (Gv 21, 17)] come lo provano i golosi allorché dicono: amo i tordi; li amano infatti per ucciderli e divorarli. Egli dice di amarli e li ama perché non siano più, li ama per perderli. Tutto ciò che amiamo per cibarcene lo amiamo al fine di consumarlo e di venir ristorati. Gli uomini devono forse essere amati in questo modo, come per essere divorati? Esiste invece una amicizia di benevolenza per la quale a volte noi offriamo dei doni a quelli che amiamo. E se non ci fosse nulla da donare? A chi ama basta la sola benevolenza. Non dobbiamo certo desiderare che ci siano dei miseri, per poter così esercitare le opere di misericordia. Tu dai pani a chi ha fame; ma sarebbe meglio che nessuno avesse fame, anche se in tal modo non si ha nessuno a cui dare. Tu offri vestiti all’ignudo: ma quanto sarebbe meglio se tutti avessero i vestiti e non ci fosse questa indigenza. Tu dai sepoltura a chi è morto: ma quanto sarebbe meglio che giungesse quella vita in cui nessuno morirà. Tu metti d’accordo i litiganti: voglia il cielo che si stabilisca quella eterna pace di Gerusalemme, dove nessuno potrà litigare! Sono doveri legati a particolari necessità. Elimina i miseri; cesseranno le opere di misericordia. Ma se cesseranno le opere di misericordia, si estinguerà forse l’ardore della carità? Più genuino è l’amore che porti verso un uomo di nulla bisognoso, al quale non devi dare nulla: questo amore sarà più puro e molto più sincero. Se infatti dai in prestito ad un miserabile, può capitare che tu desideri esaltarti di fronte a lui e avere lui soggetto, perché egli è stato causa di quell’atto benefico. Egli si trovò nel bisogno e tu lo hai aiutato; sembri essergli superiore, perché tu hai dato a lui. Desidera che ti sia eguale, affinché ambedue siate soggetti ad un solo Signore al quale nulla si può dare. [Obbedisci a chi è sopra di te.] 6. L’anima orgogliosa proprio in ciò ha sorpassato la misura ed è diventata in certo qual modo avara; perché radice di tutti i mali è l’avarizia (1 Tm 6, 10). Fu anche detto che la superbia è inizio di ogni peccato (Sir 10, 15). Ci domandiamo a volte come possono accordarsi queste due proposizioni: la radice di tutti i mali è l’avarizia, e quest’altra: Il principio di ogni peccato è la superbia. Se la superbia è inizio di ogni peccato, è per ciò stesso la radice di tutti i mali. Ma è anche certo che pure l’avarizia è radice di tutti i mali: concludiamo perciò che nella stessa superbia c’è l’avarizia, in quanto l’uomo oltrepassa la misura. Che significa essere avari? Cercare al di là del sufficiente. Adamo cadde per la superbia: è detto infatti che all’inizio di ogni peccato è la superbia. Cadde forse per avarizia? Chi più avaro di colui al quale Dio non basta? Abbiamo letto, o fratelli, che l’uomo è stato fatto ad immagine e similitudine di Dio: che cosa Dio disse dell’uomo? Abbia potere sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutti gli animali che strisciano per terra (Gn 1, 26). Ha forse detto il Signore: l’uomo abbia potere sugli uomini? Disse soltanto: abbia potere, un potere conforme alla natura; ma potere su chi? Sui pesci del mare, sui volatili del cielo, su tutti gli animali che strisciano per terra. Perché su questi esseri è naturale che l’uomo abbia potere? Perché l’uomo deriva questo suo potere dal fatto che fu creato ad immagine di Dio. Dove fu fatto ad immagine di Dio? Nell’intelligenza, nella mente, nell’uomo interiore; nel fatto che l’uomo capisce la verità, discerne la giustizia e l’ingiustizia, sa da chi è stato fatto, può conoscere il suo creatore e lodarlo. Ha questa intelligenza chi possiede la saggezza. Poiché molti per colpa delle cattive passioni corrompono in se stessi l’immagine di Dio e spengono in certo qual modo la fiamma dell’intelligenza con la perversità della loro condotta, la Scrittura dice loro: Non diventate come un cavallo ed un mulo che non hanno intelligenza (Sal 31, 9). Questo significa: io ti ho messo al di sopra del cavallo e del mulo; ti ho fatto a mia immagine, ti ho dato potere sopra questi esseri. Perché? Perché le bestie non hanno un’anima razionale; tu invece coll’anima razionale comprendi la verità, capisci ciò che sta sopra di te; assoggettati a colui che sta sopra di te e ti staranno soggetti quegli esseri sopra i quali sei stato preposto. Avendo l’uomo con il peccato abbandonato colui sotto il quale doveva stare, viene assoggettato a quegli esseri sopra i quali egli doveva comandare. [Liberazione spirituale.] 7. Vedete di capire ciò che voglio dire: ecco Dio, ecco l’uomo, ecco un animale: Dio, ad esempio, sta sopra di te e l’animale sta sotto di te. Riconosci colui che sta sopra di te, affinché ti riconoscano le cose che ti stanno sotto. Per questa ragione Daniele, avendo riconosciuto Dio sopra di sé, vide i leoni a lui soggetti (cf. Dn 6, 22). Se invece tu non riconosci colui che sta sopra di te, disprezzi un superiore ma ti assoggetti ad un inferiore. Che cosa contribuì a domare la superbia degli Egiziani? Le rane e le mosche (cf. Es 8). Dio poteva mandare loro anche i leoni, ma il leone è per spaventare personaggi importanti. Quanto più gli Egiziani erano superbi, tanto più la loro vanagloria fu infranta da esseri disprezzabili ed abbietti. I leoni riconobbero invece Daniele perché egli era suddito di Dio. Che cosa dunque? I martiri che combatterono contro le bestie e sono stati lacerati dai morsi delle belve, non erano sottomessi a Dio? Oppure bisognerà dire che i tre fanciulli della fornace erano servi di Dio, mentre non lo erano i fratelli Maccabei? Il fuoco mostrò che quei tre fanciulli erano servi di Dio, perché non li bruciò né consumò i loro vestiti (cf. Dn 3, 50); e non manifestò quali servi di Dio i Maccabei? Certo che li manifestò. Sì, manifestò anch’essi, o fratelli (cf. 2 Mach 7). Ma c’era bisogno di uno strumento di pena per rivelarli, secondo il permesso del Signore, come dice la Scrittura: Dio colpisce ogni uomo che accoglie nel numero dei suoi figli (Eb 12, 6). Voi, o fratelli, ritenete che la lancia avrebbe mai trapassato il petto del Signore, se lui stesso non avesse permesso ciò? Credete che egli sarebbe rimasto sospeso alla croce, senza la sua volontà? La creatura, di cui egli era il creatore, non lo riconobbe? Oppure ha voluto presentare ai suoi fedeli un esempio di pazienza? Dio ha liberato alcuni in modo visibile, altri li ha liberati ma non in modo visibile: tutti invece ha liberato nell’anima, nessuno ha abbandonato a se stesso nel campo dello spirito. Parve che egli avesse abbandonato a se stessi alcuni, dal punto di vista dell’aiuto esterno, mentre altri sono stati visibilmente sottratti alla rovina. Egli ha appunto salvato costoro perché non si credesse che non lo poteva fare. Ti ha dato una prova che può aiutare, cosicché, quando non interviene, tu capisca che questo è per un suo disegno a te nascosto e non già per qualche sua difficoltà. Ma che significa questo, o fratelli? Quando avremo sciolto tutti i nodi della nostra condizione di mortali, quando saranno ormai sorpassati i tempi della tentazione, quando il fiume di questa storia terrena avrà compiuto il suo corso e riprenderemo quella veste primitiva che è l’immortalità da noi perduta col peccato, quando questo nostro essere corruttibile, e cioè la nostra carne, avrà assunto qualità incorruttibili e questa nostra carne mortale avrà ottenuto l’immortalità (1 Cor 15, 53-54), allora ogni creatura riconoscerà in noi i perfetti figli di Dio, là dove non sarà più necessario essere tentati e flagellati; tutto sarà a noi sottomesso, se qui noi siamo sudditi di Dio. [Non esser un maestro invidioso.] 8. Il cristiano deve essere tale da non gloriarsi sopra gli altri uomini. Dio ti ha dato di essere al di sopra delle bestie, di essere cioè migliore delle bestie. Questo lo hai dalla tua natura; sarai sempre meglio di una bestia; ma se vuoi essere migliore di un altro uomo, gli porterai invidia, se lo vedi tuo uguale. Devi invece volere che tutti gli uomini ti siano uguali. Se superi un altro in prudenza, devi desiderare che anche lui sia prudente. Fin quando egli resta meno avveduto, deve imparare da te; fin quando resta privo di cultura, egli ha bisogno di te; e tu sembri il maestro, lui lo scolaro; tu dunque superiore perché maestro, lui inferiore perché discepolo. Se non desideri che lui ti sia uguale, vorrai che egli resti sempre tuo discepolo. Ma se vuoi averlo sempre tuo discepolo, sei un maestro invidioso. E se sei tale, come puoi dirti maestro? Ti supplico, non insegnargli la tua invidia. Senti l’Apostolo che dice nella sua grande carità: Vorrei che tutti gli uomini fossero come me (1 Cor 7, 7). Come mai voleva che tutti gli fossero uguali? Egli era superiore a tutti proprio perché nella sua carità desiderava che tutti fossero uguali. L’uomo dunque ha oltrepassato la misura; volle essere troppo avaro, ponendosi sopra gli altri uomini, mentre aveva ricevuto soltanto una superiorità sopra gli animali: e ciò è superbia. [Motivo ispiratore delle azioni buone.] 9. Vedete le opere grandi che la superbia compie: fate bene attenzione come esse siano tanto simili e quasi pari a quelle della carità. La carità offre cibo all’affamato, ma lo fa anche la superbia: la carità fa questo, perché venga lodato il Signore; la superbia lo fa per dare lode a se stessa. La carità veste un ignudo e lo fa anche la superbia; la carità digiuna, ma digiuna anche la superbia; la carità seppellisce i morti, ma li seppellisce anche la superbia. Tutte le opere buone che la carità vuole fare e fa, ne mette in moto, all’opposto, altrettante la superbia e le mena attorno come suoi cavalli. Ma la carità è nel cuore e toglie il posto alla malmossa superbia: non mal movente bensì malmossa. Guai all’uomo che tiene la superbia a proprio auriga, perché necessariamente finirà nel precipizio. Ma come sapere se sia la superbia a muovere le azioni buone? Chi la vede? Quale il segno di riconoscimento? Vediamo le opere: la misericordia offre cibo, lo fa anche la superbia; la misericordia accoglie un ospite, lo fa anche la superbia; la misericordia intercede per un povero, lo fa anche la superbia. Che significa ciò? Che non riusciremo a capire, se esaminiamo le opere. Io oso dare una qualche risposta, non proprio io, ma lo stesso Paolo: la carità muore; cioè l’uomo, che ha la carità, confessa il nome di Cristo e va al martirio; anche la superbia confessa Cristo e va al martirio. Il primo uomo ha la carità, il secondo non ha la carità. Colui che non ha la carità senta che cosa dice l’Apostolo: Se distribuirò tutti i miei beni ai poveri, e se darò il mio corpo per farlo bruciare, ma non ho la carità, nulla mi vale (1 Cor 13, 3). La divina Scrittura, dunque, da questa ostentazione esteriore c’invita a tornare in noi stessi; a tornare nel nostro intimo da questa superficialità che fa sfoggio di sé innanzi agli uomini. Torna all’intimo della tua coscienza, interrogala. Non guardare ciò che fiorisce di fuori, ma quale sia la radice che sta nascosta in terra. Ha preso radici in te la cupidità del denaro? Può darsi che ci sia un’apparenza di opere buone, ma opere veramente buone non potranno esserci. Ha preso radici dentro di te la carità? Sta’ sicuro, nessun male ne può derivare. Il superbo accarezza, l’amore castiga. L’uno riveste, l’altro colpisce. Il superbo dona dei vestiti per piacere agli uomini: chi possiede l’amore invece colpisce per correggere con la disciplina. Si riceve di più dal castigo che proviene dall’amore, che dall’elemosina che proviene dalla superbia. Ritornate in voi stessi, o fratelli. In tutte le cose che voi fate, guardate a Dio come vostro testimone. Vedete con quale animo agite, dal momento che egli vi vede. Se il vostro cuore non vi accusa che agite a motivo di superbia, orbene, state sicuri. Non temete, quando agite bene, che altri vi vedano. Temi invece di agire allo scopo di essere lodato. Gli altri ti vedano ma ne lodino il Signore. Se ti nascondi agli occhi dell’uomo, ti nascondi in realtà all’imitazione dell’uomo e sottrai la lode dovuta a Dio. Due sono le persone a cui fai elemosina, poiché due sono le persone che hanno fame: l’uno di pane, l’altro di giustizia. Poiché è stato detto: Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati (Mt 5, 6), tu sei stato posto come buon operaio tra questi due affamati; se la carità è il motivo del tuo atto, essa deve aver pietà di ambedue e portare aiuto ad ambedue. Il primo chiede qualcosa da mangiare, il secondo chiede qualcosa da imitare. Dai da mangiare al primo, dai te stesso come esempio all’altro. Hai dato l’elemosina ad ambedue; hai reso il primo più sollevato, per aver eliminato la sua fame; hai reso il secondo tuo imitatore, proponendogli l’esempio da imitare. [L’amore rende fratello il nemico.] 10. Siate dunque misericordiosi, abbiate sentimenti di pietà perché amando i nemici, amate i fratelli. Non pensate che Giovanni nulla abbia detto sull’amore dei nemici, dal momento che non ha taciuto sulla carità fraterna. Voi amate i fratelli: in che modo – domanderai – io amo i fratelli? Ti chiedo perché ami un nemico: perché lo ami? Perché abbia la salute in questa vita? Che vale, se non gli serve? Perché sia ricco? Che vale, se da queste stesse ricchezze sarà accecato? Perché si sposi? Che vale, se poi soffrirà una vita di pena? Perché abbia figli? Che vale, se saranno cattivi? Tutti questi beni che, per il fatto che lo ami, ti pare di dover desiderare per il nemico sono beni incerti. Desidera invece che egli ottenga insieme con te la vita eterna; desidera che egli sia tuo fratello. Se dunque questo desideri amando il nemico, che cioè sia tuo fratello, quando lo ami, ami tuo fratello. Non ami in lui ciò che è, ma quel che desideri che divenga. Se non sbaglio, ho già ripetuto alla vostra Carità questo esempio: c’è qui davanti agli occhi legna di quercia; un buon falegname vede questo legno non ancora livellato, appena tagliato dal bosco, e se ne interessa; non so che cosa voglia farne. Certo non s’è preso interesse a quel legno perché esso rimanga sempre lo stesso. E’ la sua arte che gli mostra ciò che il legno sarà, non l’interesse per il quale vede ciò che è ora; e lo ha amato per quel che ne avrebbe fatto, non per quello che è. Così Dio ci ha amato, pur essendo noi peccatori. Diciamo che Dio ha amato i peccatori. Disse infatti: Non i sani hanno bisogno del medico ma gli ammalati (Mt 9, 12). Dio ha forse amato noi peccatori perché restassimo tali? Egli ha guardato a noi come quel falegname al legno tagliato nel bosco, e pensò a ciò che avrebbe fatto e non già al legno informe che era. Così tu vedi il nemico che ti avversa, ti aggredisce e ti morde colle sue parole, ti esaspera coi suoi insulti, non ti dà pace col suo odio. Ma in lui tu vedi un uomo. Tu vedi tutte queste cose, che ti contrastano, fatte da un uomo; ma vedi in lui ciò che è stato fatto da Dio. Il fatto che egli è creatura umana, proviene da Dio. Il fatto che ti odia e ti invidia proviene da lui. Che cosa dici nel tuo animo? “Signore, sii a lui propizio, perdona i suoi peccati, incutigli terrore, cambialo”. Non ami in lui ciò che è, ma ciò che vuoi che divenga. Perciò quando ami il nemico, ami il fratello. Di conseguenza il perfetto amore è l’amore del nemico: e questo perfetto amore è incluso nell’amore fraterno. Nessuno dica che l’apostolo Giovanni ci ha ammonito un po’ meno su questo punto, mentre Cristo nostro Signore ci ha ammonito di più: Giovanni ci ha ammonito di amare i fratelli, Cristo ci ha ammonito di amare anche i nemici (cf. Mt 5, 44). Fa’ attenzione al perché Cristo ci ha ammonito di amare i nemici. Forse perché restino sempre nemici? Se egli ti ha dato questo comando perché i tuoi nemici rimanessero nemici, tu li odi, non li ami. Guarda come egli ha amato i suoi nemici e come non volle che restassero suoi persecutori; disse: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Quelli a cui volle perdonare, volle che mutassero animo: quelli che volle mutare, si è degnato di cambiarli da nemici in fratelli, e così veramente fece. Egli fu ucciso, fu sepolto, risorse, ascese al cielo, mandò sui discepoli lo Spirito Santo; essi incominciarono a predicare fiduciosi il suo nome, fecero dei miracoli in nome di lui crocifisso e ucciso; quegli uccisori del Signore videro tutto ed essi che infierendo contro di lui avevano versato il suo sangue, convertendosi alla fede lo bevvero. [Desidera che scompaia il male dal tuo nemico.] 11. Vi ho detto queste cose, o fratelli, tirando le cose un poco per il lungo: tuttavia poiché era necessario con insistenza raccomandare alla vostra Carità la stessa carità, così abbiamo fatto. Se in realtà la carità non è in voi, nulla noi abbiamo detto. Se essa è in voi, abbiamo per così dire aggiunto olio alla fiamma e forse, con queste parole, l’abbiamo accesa anche in chi non l’aveva. In uno s’accrebbe ciò che vi era; in un altro iniziò ad esserci ciò che non c’era. Abbiamo detto queste cose affinché non siate pigri nell’amare i nemici. C’è qualcuno che ti perseguita? Egli ti perseguita e tu prega, egli odia e tu abbi pietà. E’ la febbre della sua anima che ti odia: ma diventerà sano e ti ringrazierà. I medici come amano i malati? Amano forse le persone perché ammalate? Se le amano così, vogliono che sempre restino ammalate. Essi amano i malati affinché da malati diventino sani, non perché restino ammalati. Quanti fastidi devono sopportare dalle persone frenetiche! Quanti insulti! Spesse volte vengono anche percossi. Il medico colpisce la febbre, ma perdona alle persone. E che dirò, o fratelli? Il medico ama il suo nemico? Odia anzi il suo nemico ch’è la malattia: odia la malattia ed ama la persona che lo percuote; egli odia la febbre. Da che infatti è colpito? Dalla malattia, dall’infermità, dalla febbre. Toglie di mezzo ciò che porta danno alla persona, perché rimanga ciò per cui la persona possa congratularsi con lui. Fa’ così anche tu: se il nemico ti odia e ti odia ingiustamente, sappi che regna in lui la bramosia del mondo e per questo ti odia. Se anche tu lo odii, rendi male per male. Che cosa produce rendere male per male? Io compiangevo un solo malato, colpito dalla malattia dell’odio; ora ne devo compiangere due, se anche tu rispondi con l’odio. Ma quell’uomo invade il tuo patrimonio; ti sottrae non so quale tuo bene, che hai quaggiù. Per questo lo odii, appunto perché ti angustia in terra. Non soffrirne angustia, portati su in alto, nel cielo: il tuo cuore sarà dove c’è ampiezza di spazi, tanto che non soffrirai più angustie nella speranza della vita eterna. Esamina ciò che il nemico ti ha tolto; egli non potrebbe toglierti neppure questi beni, se non lo permettesse colui che colpisce chiunque accoglie nel numero dei suoi figli (Eb 12, 6). Proprio quel nemico è in certo modo il ferro che Dio adopera per sanarti. Se Dio vede utile che il nemico ti spogli, lo lascia fare; se conosce essere utile che il nemico ti colpisca, gli permette di colpirti; per mezzo di lui Dio ti cura; tu desidera che anche lui sia risanato. [L’amore fa abitare Dio in noi.] 12. Nessuno vide Dio. Ecco, dilettissimi: Se ci amiamo vicendevolmente, Dio resterà in noi, e il suo amore in noi sarà perfetto. Incomincia ad amare e giungerai alla perfezione. Hai cominciato ad amare? Dio ha iniziato ad abitare in te; ama colui che iniziò ad abitare in te affinché, abitando in te sempre più perfettamente, ti renda perfetto. In questo conosciamo che rimaniamo in lui e lui in noi: egli ci ha dato il suo Spirito (1 Gv 4, 12-13). Bene, sia ringraziato il Signore. Ora sappiamo che egli abita in noi. E questo fatto, cioè che egli abita in noi, da dove lo conosciamo? Da ciò che Giovanni afferma, cioè che egli ci ha dato il suo Spirito. Ed ancora, da dove conosciamo che egli ci ha dato il suo Spirito? Sì, che egli ci ha dato il suo Spirito, come lo sappiamo? Interroga il tuo cuore: se esso è pieno di carità, hai lo Spirito di Dio. Da dove sappiamo che proprio a questo segno noi conosciamo che abita in noi lo Spirito di Dio? Interroga Paolo apostolo: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che è dato a noi (Rm 5, 5). [Cristo nostro medico.] 13. E noi abbiamo visto e siamo testimoni che il Padre ha mandato il Figlio suo, quale Salvatore del mondo. Voi che siete ammalati, state certi: è venuto un tal medico e voi ancora disperate? I malanni erano grandi, le ferite insanabili, la malattia disperata. Esamini la gravità del tuo male e non esamini l’onnipotenza del medico? Tu sei disperato, ma egli è onnipotente; ne fanno testimonianza coloro che per primi sono stati guariti e ci hanno fatto conoscere in lui il medico; essi tuttavia furono salvati più nella speranza che nella realtà. Così infatti dice l’Apostolo: Nella speranza siamo salvati (Rm 8, 24). Abbiamo incominciato ad essere risanati nella fede; la nostra salvezza perciò sarà condotta al suo termine quando questo nostro corpo corruttibile rivestirà qualità incorruttibili, e questo nostro corpo mortale rivestirà l’immortalità (cf. 1 Cor 15, 53 51). Questa è speranza, non ancora realtà. Ma chi gode nella speranza, avrà un giorno anche la realtà; chi invece non ha speranza, non può arrivare alla realtà. [Dio ci ha cercati per puro amore.] 14. Chiunque confesserà che Gesù è Figlio di Dio, Dio rimarrà in lui e lui stesso in Dio. Possiamo ormai commentare con poche parole. Chiunque confesserà, non con le parole ma coi fatti, non con la lingua ma con la vita. Molti infatti professano il dogma con le parole e lo negano coi fatti. Noi abbiamo conosciuto e creduto quale amore Dio ha verso di noi. Ancora ti chiedo: da dove hai questa conoscenza? Dio è amore. Già ha fatto questa affermazione e qui la ripete. Non poteva Giovanni raccomandarti la carità in modo più incisivo che chiamandola Dio. Forse avresti disprezzato il dono di Dio; ma disprezzerai anche Dio? Dio è amore. E chi resta nell’amore, resta in Dio e Dio rimane in lui (1 Gv 4, 15-16). Abitano l’uno nell’altro, chi contiene e chi è contenuto. Tu abiti in Dio ma per essere contenuto da lui; Dio abita in te, ma per contenerti e non farti cadere. Non devi ritenere che tu possa diventare casa di Dio, così come la tua casa contiene il tuo corpo. Se la casa in cui abiti crolla, tu cadi; se invece tu crolli, Dio non cade. Egli resta intatto, se tu lo abbandoni. Intatto egli resta, quando ritorni a lui. Se tu diventi sano, non gli offri nulla; sei tu che ti purifichi, ti ricrei e ti correggi. Egli è una medicina per il malato, una regola per il cattivo, una luce per il cieco, per l’abbandonato una casa. Tutto dunque ti viene offerto. Cerca di capire che non sei tu a dare a Dio, allorché vieni a lui; neppure la proprietà di te stesso. Dio dunque non avrà dei servi, se tu non vorrai e se nessuno vorrà? Dio non ha bisogno di servi, ma i servi hanno bisogno di Dio; perciò un salmo dice: Dissi al Signore: tu sei il mio Dio. E’ lui il vero Signore. Che cosa disse allora il salmista? Tu non hai bisogno dei miei beni (Sal 15, 2). Tu, uomo, hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo. Il servo ha bisogno dei tuoi beni, perché tu gli offra da mangiare; anche tu hai bisogno dei suoi buoni uffici perché ti aiuti. Tu non puoi attingere acqua, non puoi cucinare, non puoi guidare il cavallo, né curare la tua cavalcatura. Ecco dunque che tu hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo, hai bisogno dei suoi ossequi. Non sei dunque un vero signore, perché abbisogni di chi ti è inferiore. Lui è il vero Signore che non cerca nulla da noi; e guai a noi se non cerchiamo lui. Niente egli chiede a noi; ma egli ci ha cercato, mentre noi non cercavamo lui. Si era dispersa una sola pecora; egli la trovò e pieno di gaudio la riportò sulle sue spalle (cf. Lc 15, 4-5). Era forse necessaria al pastore quella pecora o non era invece più necessario il pastore alla pecora? Quanto più godo di parlare della carità, tanto meno vorrei terminare la spiegazione di questa Epistola. Nessuna è più calda nella raccomandazione della carità. Niente di più dolce vi può essere predicato, niente di più salubre può essere assorbito dalla vostra mente; purché però confermiate in voi il dono di Dio, vivendo bene. Non siate ingrati a questa sua grazia per cui non volle che il suo Unigenito restasse solo; perché egli avesse dei fratelli, adottò dei figli che potessero con lui possedere la vita eterna.

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